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Demenza: Comprendere, Prevenire e Affrontare una Sfida Globale Crescente

26/05/2025

La demenza rappresenta un complesso eterogeneo di sindromi neurodegenerative caratterizzate da un progressivo e invalidante declino delle funzioni cognitive, che include memoria, linguaggio, orientamento, capacità di giudizio e problem solving. Tale deterioramento è una delle principali cause di disabilità e dipendenza tra le persone anziane a livello mondiale, con un impatto che va ben oltre l’individuo, estendendosi alle famiglie, ai caregiver e ai sistemi sanitari ed economici. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che oltre 55 milioni di persone convivano con la demenza a livello globale, una cifra destinata a triplicare entro il 2050, raggiungendo i 139 milioni, a causa del progressivo invecchiamento della popolazione e dell’aumento dell’aspettativa di vita (WHO, 2023). Ogni anno si registrano quasi 10 milioni di nuovi casi.

Le funzioni cognitive compromesse nella demenza non si limitano alla memoria – spesso il primo campanello d’allarme che ci viene in mente, magari pensando a film come “The Father” o “Still Alice” – ma coinvolgono un’ampia gamma di domini: il linguaggio (afasia), la capacità di eseguire movimenti finalizzati (aprassia), il riconoscimento di oggetti o persone (agnosia) e le funzioni esecutive, ovvero quelle abilità complesse che ci permettono di pianificare, organizzare, iniziare e monitorare comportamenti diretti a uno scopo.

Le forme più comuni di demenza includono la Malattia di Alzheimer, che rappresenta il 60-70% dei casi, la demenza vascolare, la demenza a corpi di Lewy e le demenze frontotemporali. Spesso, soprattutto in età avanzata, coesistono più patologie cerebrali (demenze miste), complicando il quadro clinico e la gestione terapeutica (Alzheimer’s Association, 2024). Data l’assenza attuale di terapie risolutive, l’identificazione precoce dei soggetti a rischio e l’implementazione di strategie di prevenzione primaria e secondaria diventano cruciali per mitigare l’impatto della malattia e migliorare la qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari.

Metodi

Questo articolo si basa su una ricerca approfondita della letteratura scientifica condotta su database biomedici internazionali, quali PubMed (National Library of Medicine), Scopus, Cochrane Library, e sui siti web di organizzazioni sanitarie di riferimento come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), l’Alzheimer’s Association e il National Institute on Aging (NIA). Sono state utilizzate parole chiave specifiche, tra cui: “dementia”, “Alzheimer’s disease”, “vascular dementia”, “Lewy body dementia”, “frontotemporal dementia”, “mild cognitive impairment”, “risk factors”, “pathophysiology”, “diagnosis”, “neuroimaging”, “biomarkers”, “prevention”, “treatment”, “non-pharmacological interventions”, “cognitive reserve”. La selezione ha privilegiato studi originali (studi clinici randomizzati, studi di coorte, studi caso-controllo), revisioni sistematiche, meta-analisi e linee guida cliniche pubblicate prevalentemente nel periodo compreso tra il 2010 e maggio 2024, al fine di garantire l’utilizzo delle informazioni più aggiornate e consolidate.

Epidemiologia: Un Panorama Globale e Locale

Le stime di prevalenza della demenza indicano che globalmente circa il 5–8% della popolazione di età pari o superiore ai 60 anni è affetta da questa condizione. Tale percentuale aumenta drasticamente con l’età, raggiungendo circa il 30% negli ultraottantacinquenni (WHO, 2023). Esistono significative variazioni geografiche: i tassi di prevalenza standardizzati per età sono generalmente più elevati nei paesi ad alto reddito, probabilmente a causa di una maggiore aspettativa di vita e di una più accurata diagnosi. Tuttavia, circa due terzi delle persone con demenza vivono in paesi a basso e medio reddito, dove spesso la malattia è sottodiagnosticata e sottotrattata (Prince et al., 2013; Patterson, 2022).

In Europa, si stima che quasi 10 milioni di persone convivano con la demenza, con l’Italia che si colloca tra i paesi con la più alta prevalenza, data l’elevata percentuale di popolazione anziana (Alzheimer Europe, 2019). L’impatto economico è enorme: i costi diretti (assistenza medica, farmaci), indiretti (perdita di produttività del paziente e dei caregiver) e sociali sono stimati in centinaia di miliardi di euro a livello europeo e oltre un trilione di dollari a livello mondiale (Wimo et al., 2017). Questo sottolinea l’urgenza di politiche sanitarie mirate alla prevenzione e al supporto a lungo termine.

Fattori di Rischio: Un Intreccio tra Genetica e Stile di Vita

La demenza è una condizione multifattoriale, risultato dell’interazione complessa tra fattori genetici, ambientali e legati allo stile di vita. Possiamo distinguerli in non modificabili e modificabili.

  • Fattori di rischio non modificabili:

    • Età: Rappresenta il principale fattore di rischio. L’invecchiamento comporta cambiamenti fisiologici nel cervello, come una ridotta plasticità sinaptica, un aumento dello stress ossidativo e processi infiammatori, che possono favorire l’insorgenza di patologie neurodegenerative (López-Otín et al., 2013).
    • Predisposizione genetica: Per la Malattia di Alzheimer a esordio tardivo (la forma più comune), il gene dell’Apolipoproteina E (APOE) è il fattore genetico di suscettibilità più noto. La presenza dell’allele (APOE4) aumenta il rischio di sviluppare la malattia, e lo fa in modo dose-dipendente (un conto è avere una copia dell’allele, un altro averne due, ereditate da entrambi i genitori) (Corder et al., 1993; Genin et al., 2011). Forme più rare di Alzheimer a esordio precoce (prima dei 65 anni) sono associate a mutazioni autosomiche dominanti nei geni della Presenilina 1 (PSEN1), Presenilina 2 (PSEN2) e del Precursore della Proteina Amiloide (APP) (Bekris et al., 2010).
    • Storia familiare: Avere un parente di primo grado (genitore, fratello/sorella) con demenza aumenta il rischio individuale, in parte per la condivisione di fattori genetici e in parte per possibili esposizioni ambientali comuni.
  • Fattori di rischio modificabili: Questi fattori sono di particolare interesse perché offrono opportunità concrete di prevenzione. La commissione Lancet sulla prevenzione, intervento e cura della demenza ha identificato 12 fattori di rischio modificabili che, se affrontati nel corso della vita, potrebbero prevenire o ritardare fino al 40% dei casi di demenza (Livingston et al., 2020). Essi includono:

    • Basso livello di istruzione in giovane età: Un’istruzione più elevata contribuisce a costruire una maggiore “riserva cognitiva”, ovvero la capacità del cervello di tollerare meglio i danni neuropatologici prima che si manifestino i sintomi clinici. È come avere un “conto in banca” cerebrale più cospicuo: anche se si verificano delle “spese” (danni), si ha più margine prima di andare “in rosso”.
    • Ipertensione arteriosa (specialmente in mezza età): L’ipertensione cronica danneggia i vasi sanguigni cerebrali, riducendo l’afflusso di sangue e ossigeno al cervello e favorendo microinfarti e lesioni della sostanza bianca (Iadecola, 2013).
    • Compromissione dell’udito (in mezza età): La perdita uditiva non trattata può portare a un maggiore carico cognitivo, isolamento sociale e atrofia cerebrale in aree uditive che possono influenzare altre regioni cognitive (Livingston et al., 2020; Loughrey et al., 2018).
    • Traumi cranici (specialmente ripetuti): Lesioni cerebrali traumatiche, anche lievi ma ripetute (come negli sport di contatto), possono innescare processi infiammatori e neurodegenerativi (Manley et al., 2022).
    • Consumo eccessivo di alcol (più di 21 unità alcoliche a settimana): L’alcol ha effetti neurotossici diretti e può contribuire a carenze vitaminiche (es. tiamina) che danneggiano il cervello (Rehm et al., 2019).
    • Obesità (in mezza età): L’obesità è associata a infiammazione sistemica, insulino-resistenza e aumento del rischio vascolare, tutti fattori che possono contribuire al declino cognitivo (Anjum et al., 2018).
    • Fumo di sigaretta: Il fumo aumenta lo stress ossidativo, l’infiammazione e il rischio di malattie vascolari, danneggiando direttamente il cervello (Anstey et al., 2007).
    • Depressione: La depressione cronica, soprattutto se non trattata, è associata a cambiamenti strutturali e funzionali nel cervello (es. atrofia ippocampale) e può aumentare il rischio di demenza (Ownby et al., 2006).
    • Isolamento sociale: Una scarsa interazione sociale è legata a un più rapido declino cognitivo. Il coinvolgimento sociale stimola l’attività cerebrale e può contribuire alla riserva cognitiva (Evans et al., 2019).
    • Inattività fisica: L’esercizio fisico regolare ha numerosi benefici per il cervello, tra cui il miglioramento del flusso sanguigno, la promozione della neurogenesi (nascita di nuovi neuroni) e la riduzione dell’infiammazione. La sedentarietà, al contrario, è un importante fattore di rischio (Blondell et al., 2014). Chi si muove regolarmente, magari facendo una camminata al Parco del Valentino o seguendo un corso di ginnastica dolce, fa un investimento sulla propria salute cerebrale.
    • Diabete mellito tipo 2: Il diabete è associato a danni vascolari, insulino-resistenza a livello cerebrale (talvolta l’Alzheimer viene definito “diabete di tipo 3”) e infiammazione, che aumentano il rischio di demenza, in particolare quella vascolare e l’Alzheimer (Vagelatos & Eslick, 2013).
    • Esposizione all’inquinamento atmosferico (in età avanzata): Particelle sottili e altri inquinanti possono raggiungere il cervello attraverso il flusso sanguigno o il nervo olfattivo, promuovendo infiammazione, stress ossidativo e neurodegenerazione (Peters et al., 2019).
Fisiopatologia: I Meccanismi alla Base del Declino Cognitivo

La fisiopatologia della demenza varia a seconda della forma specifica, sebbene spesso vi sia una sovrapposizione di meccanismi.

  • Malattia di Alzheimer (MA): È la forma più studiata. I suoi tratti distintivi sono l’accumulo extracellulare di peptidi di beta-amiloide (Aβ), che formano le cosiddette placche senili, e l’accumulo intracellulare di proteina tau iperfosforilata, che forma i grovigli neurofibrillari. La “ipotesi della cascata amiloide” suggerisce che l’accumulo di Aβ sia l’evento iniziale che poi innesca una serie di processi patologici, inclusa la disfunzione sinaptica, la taupatia, la neuroinfiammazione (attivazione di microglia e astrociti) e la morte neuronale diffusa, con conseguente atrofia cerebrale, particolarmente evidente nell’ippocampo e nelle aree corticali associative (Hardy & Selkoe, 2002; Selkoe & Hardy, 2016).
  • Demenza Vascolare (DV): È causata da un danno cerebrovascolare che riduce il flusso sanguigno al cervello. Questo può derivare da ictus multipli (demenza multi-infartuale), da un singolo ictus in una regione cerebrale strategica, o da una malattia diffusa dei piccoli vasi (leucoaraiosi). Il danno ischemico o emorragico porta alla morte neuronale e all’interruzione delle connessioni cerebrali (O’Brien & Thomas, 2015).
  • Demenza a Corpi di Lewy (DCL): È caratterizzata dalla presenza di corpi di Lewy, aggregati anomali di proteina alfa-sinucleina, all’interno dei neuroni. Questi si trovano principalmente nella corteccia cerebrale e nel tronco encefalico. La DCL condivide caratteristiche cliniche e patologiche con la MA e il Morbo di Parkinson. I sintomi includono fluttuazioni cognitive, allucinazioni visive ricorrenti e parkinsonismo (McKeith et al., 2017).
  • Demenze Frontotemporali (DFT): Gruppo eterogeneo di disturbi caratterizzati da degenerazione dei lobi frontali e/o temporali del cervello. A seconda delle proteine anomale accumulate (spesso tau o TDP-43) e delle aree cerebrali colpite, si manifestano con cambiamenti progressivi nel comportamento e nella personalità (variante comportamentale) o con disturbi del linguaggio (afasia primaria progressiva) (Olney et al., 2017).
  • Demenze Miste: È comune, specialmente negli anziani, la coesistenza di più patologie, ad esempio MA e patologia vascolare. Questa sovrapposizione può accelerare il declino cognitivo e complicare la diagnosi e il trattamento (Schneider et al., 2009).

Un ruolo emergente è attribuito alla neuroinfiammazione, considerata non solo una conseguenza ma anche un possibile motore della progressione della malattia in molte forme di demenza. L’attivazione cronica di microglia (le cellule immunitarie del cervello) e astrociti può rilasciare citochine infiammatorie, specie reattive dell’ossigeno e altri mediatori che contribuiscono al danno neuronale (Heneka et al., 2015).

Diagnosi: Un Approccio Multidimensionale

La diagnosi di demenza è un processo complesso che mira non solo a identificare la presenza di un deterioramento cognitivo, ma anche a determinarne la causa sottostante, la gravità e l’impatto funzionale. Non esiste un singolo test definitivo. L’approccio attuale, raccomandato dalle linee guida internazionali, è multidimensionale e comprende:

  • Anamnesi clinica dettagliata: Raccolta di informazioni dal paziente e, fondamentale, da un familiare o caregiver ben informato. Si indaga sull’esordio e la progressione dei sintomi cognitivi e comportamentali, sulla storia medica pregressa, sui farmaci assunti, sulla storia familiare di demenza e sull’impatto dei deficit sulle attività della vita quotidiana (ADL e IADL).
  • Esame obiettivo generale e neurologico: Per identificare segni di patologie sistemiche o neurologiche focali che potrebbero contribuire al quadro clinico.
  • Valutazione neuropsicologica: Utilizzo di test standardizzati per valutare oggettivamente i diversi domini cognitivi (memoria, attenzione, linguaggio, funzioni esecutive, abilità visuospaziali). Test di screening come il Mini-Mental State Examination (MMSE) o il Montreal Cognitive Assessment (MoCA) sono utili per una prima valutazione, ma una diagnosi accurata richiede spesso una batteria di test più completa somministrata da uno specialista neuropsicologo. Questi test aiutano anche a monitorare la progressione della malattia.
  • Esami di laboratorio: Analisi del sangue per escludere cause reversibili o concomitanti di deterioramento cognitivo, come ipotiroidismo, carenze vitaminiche (B12, folati), infezioni (es. sifilide, HIV), squilibri elettrolitici o disfunzioni d’organo.
  • Neuroimaging:
    • Tomografia Computerizzata (TC) o Risonanza Magnetica (RM) cerebrale: Sono esami di routine per escludere altre cause di sintomi cognitivi (es. tumori, ematomi subdurali, idrocefalo normoteso) e per identificare segni di atrofia cerebrale (particolarmente dell’ippocampo nella MA) o lesioni vascolari (nella DV) (Harper et al., 2017). La RM offre una migliore risoluzione per i tessuti molli.
    • Tomografia a Emissione di Positroni (PET):
      • FDG-PET (con fluorodesossiglucosio): Misura il metabolismo glucidico cerebrale, che è tipicamente ridotto in aree specifiche nelle diverse forme di demenza (es. regioni parieto-temporali nella MA) (Dubois et al., 2021).
      • PET per amiloide: Utilizza traccianti che si legano alle placche di amiloide, permettendo di visualizzarne la presenza e la distribuzione nel cervello. Utile per confermare o escludere la patologia amiloide, soprattutto in casi diagnostici dubbi (Johnson et al., 2013).
      • PET per tau: Traccianti più recenti permettono di visualizzare i grovigli di proteina tau. Questa tecnica è promettente per stadiare la malattia e monitorare l’efficacia di terapie anti-tau (Villemagne et al., 2018).
  • Biomarcatori nel liquido cefalorachidiano (LCR): L’analisi del LCR, ottenuto tramite puntura lombare, può misurare i livelli di Aβ42 (tipicamente ridotti nella MA, poiché si accumula nel cervello), tau totale (t-tau, aumentata come marcatore di danno neuronale) e tau fosforilata (p-tau, specificamente aumentata nella MA). Questi biomarcatori hanno un’elevata accuratezza diagnostica per la MA (Blennow et al., 2010; Dubois et al., 2021).
  • Biomarcatori ematici: La ricerca si sta concentrando intensamente sullo sviluppo di biomarcatori basati sul sangue, meno invasivi e più accessibili. Marcatori come p-tau181, p-tau217, p-tau231, Neurofilament Light Chain (NfL) e Aβ42/Aβ40 ratio nel plasma stanno mostrando risultati promettenti per la diagnosi precoce, la prognosi e il monitoraggio della MA e di altre neurodegenerazioni (Ashton et al., 2021; Karikari et al., 2022). Sebbene alcuni siano già utilizzati nella ricerca e in contesti clinici specializzati, la loro implementazione nella pratica clinica di routine è in evoluzione.

La diagnosi precoce è fondamentale per consentire al paziente e alla famiglia di pianificare il futuro, accedere a trattamenti sintomatici e interventi di supporto, e partecipare a studi clinici.

Strategie di Prevenzione e Intervento

Attualmente non esiste una cura per la maggior parte delle demenze, ma sono disponibili strategie per prevenire o ritardare l’insorgenza, gestire i sintomi e migliorare la qualità della vita.

Interventi Farmacologici

Le opzioni farmacologiche attuali offrono principalmente un sollievo sintomatico modesto e temporaneo per alcune forme di demenza, senza arrestare la progressione della malattia.

  • Inibitori dell’acetilcolinesterasi (AChEI): Donepezil, rivastigmina e galantamina sono approvati per la MA da lieve a moderata. Agiscono aumentando i livelli cerebrali di acetilcolina, un neurotrasmettitore importante per la memoria e l’apprendimento, che è ridotto nella MA. Possono offrire modesti benefici sulle funzioni cognitive, le attività quotidiane e i sintomi comportamentali (Birks, 2006). Gli effetti collaterali più comuni sono gastrointestinali (nausea, vomito, diarrea).
  • Memantina: Un antagonista del recettore NMDA del glutammato, approvato per la MA da moderata a grave, talvolta in associazione con un AChEI. Modula l’attività del glutammato, un altro neurotrasmettitore, la cui eccessiva stimolazione (eccitotossicità) può contribuire al danno neuronale. Offre benefici modesti sulla cognizione e la funzionalità (McShane et al., 2019).
  • Farmaci modificanti la malattia (Disease-Modifying Therapies – DMTs): Recentemente, si è assistito a sviluppi significativi con l’approvazione (in alcuni paesi, come gli USA, e con indicazioni specifiche) di anticorpi monoclonali diretti contro la beta-amiloide per la MA in fase iniziale.
    • Aducanumab: Il primo ad essere approvato dall’FDA (Food and Drug Administration) nel 2021, con un percorso controverso a causa di dati di efficacia non univoci.
    • Lecanemab: Approvato dall’FDA nel 2023, ha dimostrato in studi di fase III (es. studio CLARITY AD) una modesta riduzione del declino cognitivo (27% rispetto al placebo su 18 mesi) in pazienti con MA precoce e patologia amiloide confermata. Rimuove le forme protofibrillari di amiloide (van Dyck et al., 2023).
    • Donanemab: Ha mostrato risultati positivi in studi di fase III (TRAILBLAZER-ALZ 2), mirando a rimuovere le placche di amiloide consolidate. I dati indicano un rallentamento del declino cognitivo e funzionale (Sims et al., 2023). Questi farmaci rappresentano un progresso, essendo i primi a targettare uno dei meccanismi patologici centrali della MA. Tuttavia, i benefici clinici sono modesti, sono associati a rischi di effetti collaterali come le ARIA (Amyloid-Related Imaging Abnormalities – edema o microemorragie cerebrali), richiedono monitoraggio con RM e sono costosi. La loro applicabilità è limitata a pazienti in fasi molto precoci della malattia con conferma della patologia amiloide. L’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha finora espresso parere negativo per Aducanumab e Lecanemab è ancora in valutazione.
  • Altri farmaci: Per la gestione dei sintomi comportamentali e psicologici della demenza (BPSD), come agitazione, aggressività, depressione o psicosi, possono essere utilizzati, con cautela e per periodi limitati, antidepressivi, antipsicotici o ansiolitici, sempre dopo aver escluso e trattato cause mediche sottostanti e aver tentato approcci non farmacologici (Cerejeira et al., 2012).
Interventi Non Farmacologici

Gli interventi non farmacologici sono fondamentali in tutte le fasi della demenza e rappresentano il cardine della prevenzione.

  • Attività fisica regolare: Numerosi studi dimostrano che l’esercizio fisico (aerobico come camminare, nuotare, andare in bicicletta, ma anche di potenziamento muscolare) migliora la salute cardiovascolare, aumenta il flusso sanguigno cerebrale, promuove la neurogenesi e la plasticità sinaptica, e riduce l’infiammazione. Si raccomandano almeno 150 minuti di attività fisica moderata o 75 minuti di attività intensa a settimana, combinati con esercizi di forza due volte a settimana (Blondell et al., 2014; Livingston et al., 2020). È come fare “jogging per i neuroni”!
  • Stimolazione cognitiva e impegno sociale: Mantenere il cervello attivo attraverso attività mentalmente stimolanti (leggere, scrivere, imparare nuove abilità come una lingua o uno strumento musicale, fare puzzle, giochi da tavolo) e mantenere una rete sociale attiva contribuisce a costruire e mantenere la riserva cognitiva (Stern, 2012). Partecipare a club, volontariato o gruppi di discussione può essere molto benefico.
  • Dieta sana: La Dieta Mediterranea, ricca di frutta, verdura, legumi, cereali integrali, pesce e olio d’oliva, e povera di carni rosse e grassi saturi, è associata a un minor rischio di declino cognitivo e demenza. Anche la dieta MIND (Mediterranean-DASH Intervention for Neurodegenerative Delay), che combina aspetti della Dieta Mediterranea e della dieta DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension), ha mostrato effetti protettivi (Scarmeas et al., 2006; Morris et al., 2015). Questi regimi alimentari forniscono antiossidanti, vitamine e acidi grassi omega-3, che hanno effetti neuroprotettivi e antinfiammatori.
  • Controllo rigoroso dei fattori di rischio vascolare: Gestire l’ipertensione, il diabete, l’ipercolesterolemia e l’obesità, e smettere di fumare, è cruciale non solo per la salute del cuore ma anche per quella del cervello. “Ciò che fa bene al cuore, fa bene al cervello” è un motto sempre valido.
  • Gestione della perdita dell’udito: L’uso di apparecchi acustici in caso di deficit uditivo può ridurre il rischio di declino cognitivo associato (Livingston et al., 2020).
  • Igiene del sonno: Un sonno di buona qualità è importante per il consolidamento della memoria e la “pulizia” del cervello da proteine tossiche come l’amiloide (attraverso il sistema glinfatico). Disturbi del sonno, come l’apnea notturna, dovrebbero essere trattati (Ju et al., 2014).
  • Interventi personalizzati e di supporto: Per le persone con demenza, terapie occupazionali, terapia del linguaggio, fisioterapia, musicoterapia, terapia della reminiscenza e interventi ambientali (es. creare un ambiente sicuro e familiare) possono aiutare a mantenere l’autonomia il più a lungo possibile, gestire i sintomi comportamentali e migliorare la qualità della vita del paziente e del caregiver (Olazarán et al., 2010). Fondamentale è anche il supporto psicologico ed educativo per i familiari.

Studi come il FINGER (Finnish Geriatric Intervention Study to Prevent Cognitive Impairment and Disability) hanno dimostrato che un intervento multidominio che combina dieta, esercizio fisico, training cognitivo e gestione dei fattori di rischio vascolare può migliorare o mantenere le funzioni cognitive in anziani a rischio (Ngandu et al., 2015).

5 Semplici Esercizi per "Allenare" la Mente e Riflettere sul Proprio Rischio di Demenza

Questi esercizi, ispirati a pratiche comuni di stimolazione cognitiva e a versioni semplificate di test di screening, non hanno valore diagnostico e non sostituiscono in alcun modo una valutazione medica specialistica. Tuttavia, possono essere un modo per riflettere attivamente sulla propria salute cognitiva e, se si notano difficoltà significative o cambiamenti rispetto al passato, possono rappresentare un incentivo a parlarne con il proprio medico di famiglia.

  1. Test della lista della spesa (Memoria a breve termine e differita):

    • Esercizio: Leggete attentamente una lista di 10-12 oggetti eterogenei (es. latte, pane, chiave inglese, giornale, sapone, francobollo, mela, cane, ombrello, lampadina) per circa 30-60 secondi. Coprite la lista e provate a scrivere tutti gli oggetti che ricordate.
    • Dopo 10-15 minuti: Senza aver riguardato la lista, provate nuovamente a scrivere gli oggetti che ricordate.
    • Riflessione: Quanti ne ricordate subito? E dopo l’intervallo? È normale dimenticarne qualcuno, ma difficoltà marcate o un peggioramento nel tempo potrebbero meritare attenzione.
  2. Test del disegno dell’orologio (Funzioni visuospaziali ed esecutive):

    • Esercizio: Su un foglio bianco, disegnate un grande cerchio. Inserite tutti i numeri come sul quadrante di un orologio. Poi, disegnate le lancette per indicare un orario specifico, ad esempio “le undici e dieci” (11:10) oppure “le tre meno un quarto” (2:45).
    • Riflessione: Il cerchio è ben formato? I numeri sono al posto giusto e nella sequenza corretta? Le lancette indicano l’ora richiesta e sono di lunghezza distinguibile (ore più corta, minuti più lunga)? Difficoltà in questo test possono suggerire problemi nelle capacità di pianificazione e visuocostruttive.
  3. Test delle sequenze inverse (Attenzione e memoria di lavoro):

    • Esercizio (meglio se con un aiutante): Chiedete a qualcuno di dirvi una sequenza di numeri (iniziate con 3 o 4 cifre, poi aumentate gradualmente fino a 7 o 8 se ve la sentite). Il vostro compito è ripetere la sequenza al contrario. Esempio: se vi dicono “8-3-5”, voi dovreste dire “5-3-8”.
    • Riflessione: Fino a quante cifre riuscite a gestire? Questo esercizio impegna l’attenzione e la capacità di manipolare le informazioni mentalmente.
  4. Test della fluidità verbale (Linguaggio e funzioni esecutive):

    • Esercizio: In un minuto, provate a nominare più animali possibile. Poi, in un altro minuto, provate a nominare più parole possibile che iniziano con una lettera specifica (es. “F” o “S”, evitando nomi propri).
    • Riflessione: Quante parole riuscite a produrre? È normale rallentare verso la fine. Difficoltà nel reperire parole comuni o una produzione molto limitata potrebbero essere un segnale. Come in un videogioco dove devi raccogliere più “gettoni” possibili in un tempo limite, qui si tratta di “raccogliere” parole.
  5. Test del “conti alla rovescia” o calcoli semplici (Attenzione e calcolo):

    • Esercizio: Partendo da 100, sottraete 7 ripetutamente (100, 93, 86, 79, e così via) il più velocemente e accuratamente possibile. Oppure, fate dei calcoli mentali semplici ma a più passaggi (es. “Quanto fa 15 + 28 – 12?”).
    • Riflessione: Riuscite a mantenere la concentrazione e a eseguire i calcoli correttamente? Questo tipo di attività richiede attenzione sostenuta e abilità di calcolo.

Importante: Se eseguendo questi semplici esercizi notate difficoltà che vi preoccupano, o se un familiare manifesta problemi cognitivi persistenti, il passo corretto è consultare il medico di medicina generale. Sarà lui/lei a valutare la situazione e, se necessario, a indirizzarvi verso un Centro per i Disturbi Cognitivi e le Demenze (CDCD) per una valutazione specialistica approfondita. Questi esercizi sono pensati per stimolare la consapevolezza, non per generare ansia.

Oltre le Conclusioni: Prospettive Future e Impegno Collettivo

La demenza rappresenta una delle maggiori sfide sanitarie, sociali ed economiche del nostro tempo. Sebbene la ricerca abbia compiuto passi da gigante nella comprensione dei meccanismi patogenetici e nell’identificazione dei fattori di rischio, la strada verso trattamenti realmente capaci di modificare la malattia o addirittura di curarla è ancora in salita, ma illuminata da promettenti progressi, specialmente nel campo dei biomarcatori precoci e delle terapie mirate alle fasi iniziali.

L’enfasi attuale è fortemente posta sulla prevenzione, agendo sui fattori di rischio modificabili attraverso stili di vita sani. L’adozione di una dieta equilibrata, la pratica regolare di attività fisica, la stimolazione cognitiva continua, il mantenimento di una vita socialmente attiva e il controllo rigoroso dei fattori di rischio vascolare possono ridurre significativamente la probabilità di sviluppare demenza o ritardarne l’insorgenza. Questo approccio proattivo, che inizia fin dalla giovane età e prosegue per tutto l’arco della vita, è la strategia più potente che abbiamo a disposizione oggi.

Parallelamente, è cruciale migliorare la diagnosi precoce e accurata, per permettere un accesso tempestivo agli interventi di supporto e alle future terapie. La ricerca su biomarcatori ematici affidabili e accessibili potrebbe rivoluzionare lo screening e la diagnosi. È altresì fondamentale potenziare il supporto ai pazienti e ai loro familiari, che spesso portano il carico assistenziale maggiore. Servizi di assistenza domiciliare, centri diurni, supporto psicologico e formazione per i caregiver sono essenziali per migliorare la qualità della vita di tutte le persone coinvolte.

La lotta alla demenza richiede un impegno collettivo: dalla ricerca scientifica alle politiche sanitarie, dalla sensibilizzazione della popolazione al supporto delle comunità locali. Come farmacisti, ci impegniamo a fornire informazioni corrette e aggiornate, a promuovere stili di vita sani e a essere un punto di riferimento per chi cerca consiglio e supporto. La conoscenza è il primo passo verso la prevenzione e una gestione più efficace di questa complessa condizione.

Riferimenti
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Le informazioni contenute in questo articolo sono elaborate sulla rilettura critica di articoli scientifici, testi universitari e basandosi sulla nostra pratica comune, hanno soli scopi informativi e non hanno pertanto valore di prescrizione medica, non devono in alcun modo sostituire il rapporto dottore-paziente; si raccomanda al contrario di chiedere il parere del proprio medico prima di mettere in pratica qualsiasi consiglio od indicazione riportata.

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